martedì 14 febbraio 2012

watch me dance, I'm a puppet. you can almost see the strings.

Per difendermi da ogni forma di delusione e tradimento, che non credevo e non credo ancora di essere in grado di sopportare e superare, quindi in generale per mettermi al riparo e conservarmi, ho imparato a mortificarmi quotidianamente fino al punto in cui ho disimparato a sperare; il mio cinismo e la mia incapacità di credere nascono proprio da questo lavoro rituale e rigoroso di mortificazione e umiliazione che ho scelto per sostituire quegli insegnamenti di vita, di convivenza sociale, più in generale di relazione, che non ho ricevuto per dimenticanza, per scarsa attenzione, per un'educazione fantasiosa e improvvisata, per l'assenza di un fratello o una sorella, per l'indole solitaria che ho ereditato dal ramo sbagliato, malato, della mia famiglia.
Ho iniziato già da piccola a costruirmi un repertorio di comportamenti che mi aiutavano a farmi male, ridimensionandomi, dandomi una lezione, svilendomi, ricordandomi e ripetendomi quanto poco contassi e quanto poco valore avessi, disegnando un senso esatto per la mia miseria. Comportamenti che mi facevano allo stesso tempo guadagnare autonomia e lucidità, anche se al prezzo di una consapevolezza dolorosa, di un disincanto prematuro e inadeguato alla mia età, di una perdita di vivacità ed entusiasmo, con una graduale e crescente incapacità a relazionarmi e con una perdita di valore, interiore, trasversale e assolutamente convincente.
Fin da piccola mi piaceva e mi serviva chiamare quando sapevo che non avrei potuto ricevere una risposta, perché nessuno era in casa ad esempio, aspettando fino all'esasperazione che qualcosa interrompesse il suono ripetitivo del telefono, sempre a vuoto; mi piaceva e mi serviva anche aspettare seduta vicino alla porta quando sapevo che per ore non sarebbe tornato nessuno.
Quando ero già più grande, forse uno degli ultimi anni di università, ho studiato per mesi, ogni sera, su una poltrona vicino all'ingresso, sperando che uno dei miei due genitori non tornasse a casa mettendo fine alla nostra famiglia, e l'ho fatto conoscendo a memoria gli orari di lavoro e le abitudini di ognuno, potendo prevedere con esattezza il momento in cui sarebbe arrivata la mia delusione.
Cambiando i dettagli devo aver generato decine di situazioni, tutte ugualmente frustranti, perché quello che contava era riuscire a ritagliarmi un angolo in cui poter rimanere con il mio desiderio in mano, ad aspettare di vederlo rovinato dal tempo, dagli eventi, anche solo dal silenzio o da un'assenza annunciata.

1 commento:

  1. lamine di vita sovrapposte formano la mia corazza, le uso per proteggermi...
    che poi forse la questione è dove si trovi il giusto punto di equilibrio, tra proteggersi e vivere, tra filtrare per non esser ferita ma senza impedirti di lasciarti toccare dalle cose, di lasciarti ancora emozionare...

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