giovedì 5 aprile 2012

vi è nel popolo un dolore muto e rassegnato, che si ritrae in sé e tace.

Mia nonna non parlava molto, prima ancora che per colpa della sua malattia, che pian piano le aveva tolto i movimenti, l'autonomia, la forza e, in ultimo, anche la parola, lei lo faceva perché aveva una consapevolezza dolorosa di certi suoi presunti limiti espressivi e perché temeva l'umiliazione più di ogni altro possibile castigo accidentale. Lo stesso tipo di silenzio affettivo spiega il perché fosse così restia a manifestare il suo stato d'animo con un gesto o con una decisione. La ricordo immobile, altissima, con un corpo maschile, ingombrante, le dita delle mani intrecciate, l'espressione tesa, gli occhi chiari e lo sguardo fisso di una straniera o di un animale che ha paura; sembrava costantemente alle prese con qualcosa troppo più grande di lei, guardava il mondo come se vivere e dover parlare per vivere fossero uno sproposito e al tempo stesso una vergogna, un'indecenza. Sembrava non avere nessun grado di familiarità con il corpo, come se nella sua educazione ci fosse una mancanza strutturale, una completa ignoranza, era un miracolo o forse una contingenza imprevedibile il fatto che fosse riuscita ad essere una madre.
Mi sono accorta anni dopo averla persa che con il suo modo silenzioso, metodico e privato di esistere era riuscita a insegnarmi ad essere discreta e delicata anche nel momento della rinuncia. La notte prima della mattina in cui è mancata ha calcolato la durata esatta del suo matrimonio e, quando mio nonno si è svegliato, lei gliel'ha semplicemente comunicato, siamo stati insieme cinquantaquattro anni, tre mesi e sei giorni.

martedì 3 aprile 2012

anche ieri è un grande vuoto.

Il 23 dicembre del 1998 avevo tredici anni e ho ricevuto una telefonata con cui mia madre, che era al lavoro, mi informava che finalmente, dopo dieci anni e più di una malattia neurologica progressiva e imprecisata, mia nonna paterna era riuscita a morire. Lei mi ha detto solo vedi che è morta tua nonna, senza perifrasi, senza una nota di dispiacere nella voce, senza riguardo per il fatto che fosse il mio primo incontro con una perdita definitiva, come se fosse importante solo che io registrassi l'informazione. Ha detto proprio vedi come se volesse dirmi tienine conto, regolati di conseguenza, cerca di comportarti a modo, ha detto solo vedi ma intendeva vedi di non sorridere e, anzi, forse voleva dirmi ricordati di sembrare disperata. Credo, poi, che abbia detto tua nonna per sottolineare che dovevo sentirmi coinvolta, che si trattava di una morte che mi riguardava, perché già allora doveva essere evidente la distanza fra il mio aspetto disteso, pulito, allegro, sano e sorridente, tipico di una ragazzina ben educata e di buona famiglia, e il mio distacco patologico, la mia indole sfiduciata e accondiscendente, la mia pericolosa, spontanea, tendenza all'isolamento e al silenzio. Terminata la telefonata ho finito di sistemare la coperta pesante sul letto dei miei genitori perché era iniziato l'inverno. Non ho pianto fino al giorno successivo e non è stato per dolore; è successo perché, quando sono entrata nella casa dei miei nonni, mi sono trovata materialmente spinta verso la cucina, credo perché tutti avevano paura che mi venisse in mente di attraversare il corridoio ed entrare in camera da letto. Ho pianto, credo, per il fastidio di essere toccata da tutte quelle mani e forse perché siamo arrivati in casa nel momento esatto in cui le stavano mettendo il vestito buono, quello nuovo, e sentivo che le parlavano e le chiedevano di avere pazienza. Perché fra un attimo sarebbe finito e l'avrebbero lasciata riposare.

domenica 1 aprile 2012

thomas bernhard, ja.

Noi cerchiamo senza sosta di scoprire dei retroscena e non facciamo un solo passo in avanti, soltanto complichiamo e ingarbugliamo ancor più ciò che è già complicato e ingarbugliato. Cerchiamo un colpevole del nostro destino, che quasi sempre, se siamo onesti, possiamo definire unicamente come sventura. Ci rompiamo la testa su cosa avremmo potuto fare diversamente o meglio e su cosa possibilmente non avremmo dovuto fare, perché ci siamo condannati, ma non porta a niente. La catastrofe era inevitabile, diciamo poi, e ci concediamo un periodo, anche se breve, di quiete. Poi ricominciamo da capo a porci domande e ci rodiamo e rodiamo fino a che siamo diventati di nuovo pazzi. In ogni momento siamo alla ricerca di uno o più colpevoli, cosicché almeno per quel momento tutto ci diventa sopportabile, e naturalmente, se siamo onesti, torniamo sempre a noi stessi. Ci siamo rassegnati al fatto che dobbiamo esistere, anche se per la maggior parte del tempo contro la nostra volontà, perché non ci è rimasto nient'altro, e tiriamo avanti solo perché sempre e sempre ancora, ogni giorno e ogni momento, ci rassegnamo da capo a questa realtà. E il punto d'arrivo, se siamo onesti, ci è noto da tutta la vita, è la morte, solo che per la maggior parte del tempo ci guardiamo bene dall'ammetterlo. E poiché abbiamo la certezza di non fare altro che avvicinarci alla morte e poiché sappiamo ciò che questo significa, cerchiamo di metterci a disposizione tutti i possibili mezzi per evitare questa consapevolezza e così, se guardiamo bene, in questo mondo non vediamo altro che gente occupata perennemente e per tutta la vita con questa diversione. Questo processo, che in ognuno è il processo fondamentale, debilita e accelera naturalmente tutto lo sviluppo verso la morte. […] Tutta questa gente, non importa chi sia, è dominata da questo processo volto a evitare la morte comunque imminente, avevo pensato. Tutto, in ogni uomo, è soltanto un evitare la morte. Solo se abbiamo a portata di mano un uomo con il quale alla fin fine possiamo parlare di tutto ce la facciamo, altrimenti no. dobbiamo andare da un Moritz e poterci sfogare.


[…]


Da me si era aspettata la salvezza, ma io l'avevo delusa. Anch'io ero perduto, come lei, una persona annientata, anche se con lei non l'avevo ammesso, lo sentiva, lo sapeva. Da una persona simile non poteva venire la salvezza. Al contrario una persona simile gettava uno ancor più profondamente in una disperazione senza via d'uscita.


[…]


Lei è perduto, come sono perduta io, disse. Lei può cercar scampo dove vuole. La sua scienza è una scienza assurda, come ogni scienza. si sente?