domenica 26 febbraio 2012

light another candle and release me.

Sono sollevata al pensiero che sia già sera e che domani mattina mio padre riparta. Non mi era ancora successo di desiderare così intensamente che un periodo di tempo, anche se inatteso, ambiguo e a tratti grottesco, durasse poco e scivolasse via in fretta. Io sono sempre stata quella che ha cercato di tenerlo stretto, il tempo, anche quando questo significava moltiplicare le occasioni e le forme attraverso cui un dolore, il mio, si sarebbe potuto manifestare. Questi pochi giorni, invece, li ho letteralmente lasciati andar via come se fossero qualcosa di intercorrente, una piccola penitenza, una parentesi accidentale, come se lo stessi semplicemente ospitando a casa mentre lui è in viaggio verso la sua vera destinazione, una città in cui troverà un'altra figlia che, a differenza mia, lo sta aspettando come si aspetta un sollievo, come una persona che manca. Nel corso del tempo ho provato quasi ogni genere di sentimento nei suoi confronti, da uno smodato senso di colpa al desiderio esasperato di compiacere, dalla voglia di conquistarne l'attenzione e l'amore a quello di vedermi riconosciuta in quanto persona, autonoma, sana e libera, dal terrore per le sue reazioni alla compassione per i suoi tentativi assolutamente maldestri di parlarmi, raggiungermi e recuperarmi come figlia. Ho provato frustrazione, rabbia, disgusto, repulsione, desiderio di ribellione, attaccamento patologico e dipendenza, ho provato vergogna e senso di abbandono, ho portato il peso della responsabilità per la sua infelicità, ma forse non ho sentito mai la sua mancanza e non ho mai desiderato di averlo vicino, o più vicino.
In questi pochi giorni mi sono isolata più che ho potuto, l'ho lasciato materialmente da solo nonostante questa casa sia piccola e raccolta, non mi sono sforzata di intrattenerlo o farlo divertire, non ho iniziato alcun discorso e non ho raccolto le sue frasi che avrebbero voluto farlo, non ho parlato di me e ho sorriso molto poco, non mi sono sforzata di nascondermi dietro una facciata di coerenza e maturità, forse ho anche mortificato le sue speranze perché non l'ho abbracciato, non ho accettato che mi portasse fuori a pranzo e non gli ho concesso di comprarmi un regalo.

1 commento:

  1. Io ho sempre di più la sensazione che ci siano relazioni, anche genitoriali quindi teoricamente imprenscindibili, che siano invece impossibili, irrisolvibili, ammalate. Non malate, ok, ammalate.
    Mi sembra, sempre di più, che chiudere le comunicazioni, come una radio che spegne tutto, sia l'unica via d'uscita, e non so se faccia stare meglio, ma almeno ci fa stare in un qualcosa che somiglia alla quiete.
    e.

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