martedì 5 giugno 2012

il cinque agosto.

Oggi mi si è avvicinata Federica e io, prima ancora di farla parlare, scherzando, le ho detto che no, non avevo tempo per aiutarla. Aveva un paio di fascicoli in mano e tutta l'aria di avere bisogno di me per conoscere dei dati. Io stavo pensando solo al fatto che avevo sentito pronunciare troppe parole e ad un volume troppo alto durante la mattina per mantenere anche solo una parvenza di calma e padronanza di me e della situazione. Pensavo che di lì a qualche minuto avrei dovuto ripetere con uno dei miei superiori la lezione di lunedì, senza aver avuto nelle sere precedenti il tempo, la concentrazione, la voglia e anche soltanto la speranza di approfondire un argomento che si conclude, come la maggior parte dei nostri capitoli, con una serie di curve di sopravvivenza che si chiudono dopo un tempo che si misura in mesi. Mi si è avvicinata Federica e mi dice, sorridendo, Nicola. Il tuo nome così, nel bel mezzo di un grande niente, senza un'inflessione o una sfumatura nel tono e nella voce che potesse lasciarmi intuire di cosa mai potesse trattarsi, perché tu, dopo così tanti mesi, dato che non avevi fatto parte di nessuno studio, non avevi fatto il trapianto o preso un farmaco sperimentale, non avevi fatto nulla di speciale dal punto di vista medico, eri solo il racconto travagliato di una famiglia distrutta, due anni di malattia per una storia già scritta, e mi ha fatto male pensare, senza volerlo, oggi, all'indicibile banalità delle cose che ti sono capitate e che ti hanno fatto morire, una storia identica ad altre che di speciale aveva soltanto i tuoi modi e le cose che ci hai lasciato dentro, senza nessuna violenza, senza dramma, senza eccessi, senza piangere, cose che ancora oggi siamo qui a contare e scoprire.
Guardo Federica con un'espressione che non so nemmeno immaginare, ero stupita, infastidita per il fatto che qualcuno ti stesse nominando, risvegliandomi e riportandomi indietro di un anno, per cosa poi, una questione di statistica, per una raccolta di informazioni, un database, un censimento, ma nulla sarebbe stato sufficiente a giustificare quella intromissione, avevo fretta di sapere cosa volesse e di chiudere la conversazione, ero arrabbiata perché pensavo che qualsiasi cosa avesse voluto conoscere, avrebbe potuto cercarla da sola o chiederla ad altri, chiunque altro. Non c'erano dettagli della tua storia che potessi conoscere soltanto io, se togli i ricordi, i racconti e i sentimenti, che non sarebbero serviti a riempire una qualsiasi casella in un documento di poco valore da mettere in archivio.
La guardo e aspetto che mi dica qualcosa, e lei mi dice soltanto quando.
L'ha detto come se fosse una domanda lecita, con l'atteggiamento, non solo del viso ma di tutto il corpo, di chi sta cercando di dirmi che capisce la delicatezza dell'argomento, ma che, come posso vedere, si limita appunto a chiedermi solo una cosa di cui si può parlare, un dettaglio che si può dire.
Non so se, perdendomi come al solito in mille giri di parole, sono riuscita a farti capire, ma oggi una ragazza che tu non hai mai visto, bella, alta, con gli occhi verdi, una data manager, se sai o hai mai saputo cosa possa significare, è venuta da me a chiedermi il giorno esatto in cui sei morto.
Io le ho detto, ma non chiedermi che voce avessi, venerdì, il primo venerdì di agosto, era venerdì, guarda, venerdì. Devo aver detto quella parola cinque o sei volte in pochi secondi, e mi sembrava sufficiente. Poteva guardare anche da sola che giorno fosse il primo venerdì del mese di agosto. Poi le ho detto il sei, non mi ricordo esattamente, il cinque o il sei, il primo venerdì di agosto, e l'ho detto solo perché mi rimaneva immobile, in piedi, davanti, mentre io ero seduta accanto ad uno dei lettini dell'ambulatorio, che avevo ricoperto di fogli, per sedare la mia ansia di controllo e di ordine, tutti esami da riguardare, numeri da ricontrollare, storie da scrivere.
Volevo che se ne andasse, devo averglielo anche chiesto, continuando a dire il cinque o il sei, non so, guarda sull'agenda, il primo venerdì di agosto.
Ma lei non si muoveva e mi guardava come se fosse pentita di avermi fatto quella domanda, per gli effetti che aveva avuto su di me e che lei si trovava ad avere, di colpo, sotto gli occhi, ma al tempo stesso come se fosse in attesa di ottenere quell'informazione, come se completare il dialogo potesse rendere tutto quel dolore e quella mia reazione più utili.
Allora mi sono alzata e sono andata al computer, ho cercato il tuo nome nel programma di consultazione degli esami di laboratorio per risalire all'ultimo giorno, e le ho risposto il cinque.

1 commento:

  1. e questa tendenza che ha il passato a riemergere. a tornare. a non abbandonarci, in realtà. che ci son passati che son sempre presenti, poi.

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