venerdì 3 agosto 2012

I still beg. please, help me. I was a child. I am a child.

Le persone, quando muoiono, si muovono e si comportano come bambole rotte. Anche quando ci impiegano molte ore a morire, si può individuare distintamente il momento in cui smettono di essere pienamente vive, solo agitate o addormentate, solo sofferenti o in agonia, e iniziano a morire. Si tratta di un vero e proprio processo, un periodo di tempo, un'ultima forma in divenire, solo svuotata di ogni significato, non c'è più una persona, una mente, un pensiero, una vita, un dolore, ma solo un corpo che è rimasto incastrato in un movimento inutile, ripetitivo, come un meccanismo inceppato, un oggetto irrimediabilmente rovinato che si ferma per inerzia, piano, per esaurimento, svuotamento, per sfinimento.
Prima di iniziare a lavorare mi era capitato di vedere solo persone già morte, ferme, finite, composte, vestite, concluse, già ricoperte di altri significati, trasformate in simboli di perdita, assenza, lontananza, abbandono, miseria, frustrazione, silenzio, limite; allora pensavo che il passaggio mancante fosse un semplice cessare di ogni movimento, qualcosa di poco scenografico, quasi dimesso, un respiro che non si rinnova, qualcosa che c'è e poi smette di esserci, un attimo netto, un acme seguito dal sollievo di un riposo, la vita che lascia il posto, veloce, al niente.
Negli ultimi tre anni, invece, ho visto morire forse cinquanta o cento persone, assistendole o semplicemente essendo presente mentre morivano, perché, anche se si tratta del momento in cui la presenza di un medico è più profondamente inutile, quasi grottesca nella sua completa futilità e nel suo essere fuori luogo in quanto manifesto di un fallimento, è paradossalmente la circostanza in cui si viene chiamati ad esserci e a rimanere, a fare qualcosa, febbrilmente, in uno slancio di speranza che ha delle note di squallore e insieme di infinita tenerezza.
La verità è che si smette di respirare molto prima di quando si smetta effettivamente di muoversi tentando di farlo, ma è ormai una sorta di singhiozzo, forse nemmeno un tentativo, solo un accenno, uguale, periodico, leggero, un ricordo; e non ci sono più espressioni, ma non perché i segni del dolore lascino il posto ad una forma più serena o distesa, alla tensione, alla paura o al terrore della fine, ma solo perché quello che rimane è una forma vergognosamente neutra, senza significato perché già senza vita, pura materia, non interpretabile.

1 commento:

  1. Siamo, forse, creature di senso creatrici di senso, sempre, comunque, e nonostante. Il nostro "senza significato" ci identifica, ci dà significato.La vergogna è nostra, più che della forma, e interpretiamo dicendo "non interpretabile", incapaci di non dire il non dire. E non c'è modo di rinunciare al dire, anche nel silenzio siamo comunque creature creatrici di senso. Ed ora che ho fatto abbastanza confusione, adios!

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