mercoledì 21 marzo 2012

it rained all night and then all day.

Mio padre mi ha voluto come è capace di volere solo chi non ha mai conosciuto pace, con rabbia, violenza, a tratti con cattiveria, con un amore crudo e troppo pieno di desiderio per essere gestito con equilibrio e dolcemente. Lui voleva più di ogni altra cosa che io nascessi e poi che fossi femmina e bella, solo che deve aver sopravvalutato le sue capacità di gestire l'emozione e forse anche più in generale la bellezza. Ha passato i primi anni quasi senza parlarmi, non perché cercasse di ignorarmi ma semplicemente perché ne era incapace, manifestando inconsapevolmente quel tipo esatto di incomunicabilità e distanza che lega fra loro le persone che dovrebbero amarsi per vincolo di parentela, per consuetudine sociale, per vicinanza, ma che non hanno avuto in sorte il talento di saper vivere i sentimenti con naturalezza e con umanità. Dopo un adeguato numero di anni di silenzio, in cui si è dedicato a studiarmi in quanto fonte di illusione, perdita e tradimento, ha provato a difendersi da tutti i pericoli che iniziavo ad incarnare cercando di rovinarmi, anche solo come forma ed immagine, tagliandomi i capelli fino a farmi sembrare un maschio, controllando che non prendessi troppo peso, rischiando di iniziare ad assumere forme più dolci, femminili, e poi comprandomi i vestiti adatti a nascondermi quando con il tempo è diventato inevitabile non avere più il corpo di una bambina.
Fra i vari aspetti della mia crescita i capelli in particolare erano diventati per mio padre un motivo concreto di angoscia e allo stesso tempo una fonte di frustrazione quotidiana, mi ricordo l'espressione con cui, ogni volta che si accorgeva che stavano ricrescendo, mi si avvicinava per convincermi a tagliarli, e mi ricordo il suo modo di muoversi e il tono agitato con cui mi parlava, quasi rimproverandomi, comportandosi come se non ci fosse tempo da perdere, come se ogni giorno in più trascorso con l'aspetto di una bambina fosse un rischio inaccettabile, un affronto, e se non cedevo alla sua richiesta di tagliarli lui mi minacciava, e se non cedevo nemmeno alla minaccia si agitava e si innervosiva come se stesse perdendo il controllo sul mio intero progetto di crescita o come se si trovasse davanti ad una mia ribellione deliberata contro la sua autorità, un modo per maltrattare già così presto un suo desiderio, qualcosa a cui doveva opporsi rapidamente, prima che diventasse troppo grande e autonoma, forse non più reversibile. È stato in quel momento che ho iniziato a volermi nascondere e ad avere vergogna, pur non avendo ancora l'età per riconoscere questo sentimento o per imparare a leggerne o a scriverne il nome, sapendo solo di averlo conosciuto come un castigo e di doverlo onorare come unico rimedio alla mia colpa di essere me.

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