sabato 4 agosto 2012

but you catch yourself trying.

Domenica sarà un anno esatto che sei mancato e da allora è stato tutto, semplicemente, uno sfacelo. Non ricordo molto dei primi mesi, dello scorso autunno, di come mi sentissi e di che cosa avessi deciso di servirmi per occuparmi della tua perdita, non dico per superarla, ma anche solo per leggerla, capirla e poi per dimenticarla, non ricordo nulla se non il primo giorno in cui sono tornata al lavoro, un sabato o una domenica, il clima di diffusa e concordata apatia, lo sconforto, la disillusione, l'ondata di cinismo che ci aveva travolti tutti, radicale, limpida, quasi banale, adolescenziale, arrabbiata, piena di recriminazioni, ricordo solo l'attenzione maniacale che tutti, indistintamente, mettevamo nel viaggiare sempre ai margini di un dolore davanti al quale eravamo niente, annullati da un terrore primitivo, animale. Chi era con me in quel periodo mi ha assicurato che si è trattato dell'inizio di un piccolo, privato, disastro individuale, diventato insanabile dato che ha messo radici in me che sono un terreno nevrotico, già dissestato, frutto di un'educazione sentimentale sbagliata, pericolosa, immorale. Chi era con me in quel periodo, infatti, ha deciso di non esserlo più e io non mi sento di biasimarlo.
Le volte in cui durante quest'ultimo anno ho visto i tuoi genitori ho puntualmente sperato che si fermassero in tempo un attimo prima di dirmi cosa pensassi o raccontassi o ricordassi di me. A loro piace e forse serve ricordarti facendoti rivivere attraverso questi racconti, e io ho riso poche volte con una sincerità così piena come quando stavo ad ascoltarli seduta nella cucina di casa tua, ma io non voglio conoscere le tue storie che parlano di me, perché ho bisogno di continuare a pensare che tu mi abbia visto solo per quello che sembro, una persona pulita, con una quantità di amore, dentro, così grande da non saperla gestire, e non come la persona che sono, malata di cinismo e incapace di vivere, e ho forse ancora più bisogno di sapere che, anche così, sono riuscita a toglierti la paura.

venerdì 3 agosto 2012

I still beg. please, help me. I was a child. I am a child.

Le persone, quando muoiono, si muovono e si comportano come bambole rotte. Anche quando ci impiegano molte ore a morire, si può individuare distintamente il momento in cui smettono di essere pienamente vive, solo agitate o addormentate, solo sofferenti o in agonia, e iniziano a morire. Si tratta di un vero e proprio processo, un periodo di tempo, un'ultima forma in divenire, solo svuotata di ogni significato, non c'è più una persona, una mente, un pensiero, una vita, un dolore, ma solo un corpo che è rimasto incastrato in un movimento inutile, ripetitivo, come un meccanismo inceppato, un oggetto irrimediabilmente rovinato che si ferma per inerzia, piano, per esaurimento, svuotamento, per sfinimento.
Prima di iniziare a lavorare mi era capitato di vedere solo persone già morte, ferme, finite, composte, vestite, concluse, già ricoperte di altri significati, trasformate in simboli di perdita, assenza, lontananza, abbandono, miseria, frustrazione, silenzio, limite; allora pensavo che il passaggio mancante fosse un semplice cessare di ogni movimento, qualcosa di poco scenografico, quasi dimesso, un respiro che non si rinnova, qualcosa che c'è e poi smette di esserci, un attimo netto, un acme seguito dal sollievo di un riposo, la vita che lascia il posto, veloce, al niente.
Negli ultimi tre anni, invece, ho visto morire forse cinquanta o cento persone, assistendole o semplicemente essendo presente mentre morivano, perché, anche se si tratta del momento in cui la presenza di un medico è più profondamente inutile, quasi grottesca nella sua completa futilità e nel suo essere fuori luogo in quanto manifesto di un fallimento, è paradossalmente la circostanza in cui si viene chiamati ad esserci e a rimanere, a fare qualcosa, febbrilmente, in uno slancio di speranza che ha delle note di squallore e insieme di infinita tenerezza.
La verità è che si smette di respirare molto prima di quando si smetta effettivamente di muoversi tentando di farlo, ma è ormai una sorta di singhiozzo, forse nemmeno un tentativo, solo un accenno, uguale, periodico, leggero, un ricordo; e non ci sono più espressioni, ma non perché i segni del dolore lascino il posto ad una forma più serena o distesa, alla tensione, alla paura o al terrore della fine, ma solo perché quello che rimane è una forma vergognosamente neutra, senza significato perché già senza vita, pura materia, non interpretabile.